serena maiorana

Intervista a Serena Maiorana, curatrice dell’antologia “Son tornate” (in uscita con Villaggio Maori Edizioni) e autrice di uno dei racconti. Cosa spinge dodici donne a scrivere di mestruazioni? Combattere gli stereotipi, raccontare di sé per contrastare le discriminazioni di genere, approfittare della scrittura per proporre una visione differente, femminista e inclusiva. 

Come nasce il progetto “Son tornate“?

«Non saprei dire di preciso com’è nato. Alla redazione di Villaggio Maori collabora un gruppo affiatato di donne favolose (autrici, editor, redattrici e una grafica), molto diverse le une dalle altre. Da tempo mi frullava in testa l’idea di sviluppare un progetto corale, nel quale ciascuna di noi potesse trovare il suo spazio e la sua voce, che fosse scanzonato ma senza trascurare il contrasto agli stereotipi e alla discriminazione di genere, che è la spina dorsale del lavoro di molte di noi, per il Villaggio e non solo. Le mestruazioni mi sono sembrate l’argomento perfetto».

Credi ci sia una diretta conseguenza tra la violenza contro le donne e il tabù legato al tema delle mestruazioni?

«Più che una diretta conseguenza, direi che l’aspetto culturale – i tabù sulla sessualità femminile, gli stereotipi di genere, l’uso sessista del linguaggio, etc. – crea terreno fertile alla violenza contro le donne e al ridimensionamento del fenomeno. A questo proposito bisogna sottolineare che non esiste solo la violenza fisica, ma anche quella psicologica, sessuale, economica, esiste la discriminazione, l’isolamento, lo stalking. Da questo punto di vista anche la cancellazione dagli spazi pubblici degli argomenti legati alla sessualità, al corpo e all’autodeterminazione femminile è parte integrante del problema, diventando essa stessa violenza. Non è un caso se abbiamo scelto di devolvere i diritti d’autrice ricavati dalle vendite del libro al Centro Antiviolenza Thamaia, da vent’anni in prima linea a Catania per il contrasto alla violenza di genere».

Come superare il pregiudizio, la “vergogna” che la nostra cultura ha inculcato? La letteratura, la scrittura è una via?

«Raccontare, partire da sé, condividere sono da sempre gli ingredienti indispensabili per superare il timore dello sguardo e del giudizio altrui, per togliergli potere. Se la radice della violenza è culturale, e lo è, allora l’aspetto culturale non può e non deve essere sottovalutato. Per questa ragione sono convinta che partecipare alla costruzione di una narrazione differente, che dia spazio a questi temi da una prospettiva femminista e inclusiva, possa e debba essere parte della soluzione. Si tratta di una specifica responsabilità per chi lavora nel mondo culturale, messa nero su bianco dalla Convenzione di Istanbul, per esempio, oltre che da svariate linee guida, provvedimenti amministrativi e riferimenti deontologici».

Cosa ne pensi delle pubblicità che ultimamente girano in tv che cercano di rompere e superare il tabù delle mestruazioni?

«Se ti riferisci agli spot Nuvenia – tanto bistrattati in Italia quanto premiati a livello internazionale – li ho apprezzati per aver centrato il tema con con chiarezza e disinvoltura: d’altronde l’obiettivo era quello di vendere assorbenti, quindi in questo caso parlare di vulva e sangue mestruale era più che pertinente (mentre troppo spesso ci capita di vedere pezzi di corpi di donne avvenenti messi in bella mostra per venderci prodotti che non c’entrano nulla). Certo, lo scopo era dichiaratamente commerciale, ma mi è dispiaciuto molto assistere alla levata di scudi contro gli spot in questione. Purtroppo è una razione comune quando si parla liberamente di mestruazioni: è accaduto a Giuseppe Civati quando per primo propose di eliminare l’iva sugli assorbenti, in tempi più recenti è accaduto a Leandra Medine per aver postato sulle sue pagine social una foto in cui indossava una gonna macchiata di sangue mestruale. Accade continuamente, mentre scrivevamo il libro eravamo coscienti di correre lo stesso rischio: scriverlo è stato divertente e liberatorio proprio perché lo sapevamo e abbiamo deciso di infischiarcene».

Serena MaioranaCosa significa, per te, “femminismo”? Esiste o esistono donne – femministe, attiviste – che sono per te fonte di ispirazione?

«Femminismo è innanzitutto una parola che non andrebbe pronunciata al singolare: esistono molti femminismi, tutti mutevoli, e trovo questa cosa meravigliosa. Personalmente cerco di rendere il mio femminismo uno spazio accogliente e inclusivo, e di vivere il mio percorso femminista con gioia e competenza, oltre che con gratitudine per tutte le donne femministe del passato, del presente e del futuro. Sarebbe impossibile stilare una lista esaustiva delle donne che sono state per me fonte di ispirazione, anche se di certo devo moltissimo a Stefania Erminia Noce.

In questo momento storico guardo con ammirazione ai movimenti femministi sudamericani e a quello argentino in particolare; trovo molto interessante anche il femminismo islamico e più in generale resto affascinata dalla forza dirompente dei femminismi che nascono in quegli spazi che uno sguardo nord-occidentale frettoloso rischia erroneamente di ritenere marginali e periferici, finendo per discriminarli o sovradeterminarli. Impossibile poi non nominare mia nonna, che manca da poco meno di un anno e che non si è mai definita femminista, ma che di certo ha saputo insegnarmi l’autodeterminazione».

Un breve estratto del racconto di Serena Maiorana, tratto da “Son tornate”.

«Dunque, cominciamo con una breve sintesi: con la formula tampon tax ci si riferisce alla paradossale situazione che in Italia (paese spesso bizzarro, bisogna dirlo) fa si che gli assorbenti di largo consumo (fanno eccezione quelli biodegradabili e compostabili) siano tassati con unʼiva al 22per cento, mentre il tartufo, per esempio, ha lʼiva ferma al 5 per cento. Scritto così in effetti fa indignare parecchio, ma devo ammettere che a me il tartufo piace da matti, specie quello nero, grattugiato a crudo sull’uovo al tegamino ancora caldo. Ogni volta che lo mangio penso che i tartufi dovrebbero essere distribuiti gratis e pure le uova di campo delle galline di mia zia – e in effetti lei non me le ha mai fatte pagare. Magari avrà pensato lo stesso anche la persona che ha deciso questa cosa qui, magari anche lui ha una zia speciale come la mia, che gli regala uova fresche ogni fine settimana, con il tuorlo color tramonto e un sapore pieno e tondo come un tuorlo arancione. Magari ha anche un cane da tartufo e aspetta la stagione giusta come io aspetto l’estate. Di certo non ha le mestruazioni, penso».