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Su Lo scaffale indipendente l’incipit del romanzo “Nella pelle sbagliata” di Francesco Faraci pubblicato dalla casa editrice indipendente di Palermo Edizioni Leima.

Veronica avrebbe voluto un figlio tutto per sé. Stesa sul letto, guardava il soffitto pallido: in un angolo una macchia verde, regalo delle piogge invernali. Mentre fuori, nella notte mediterranea, era buio pesto, lei sognava di tenerlo fra le braccia, cullarlo e poi guardarlo dormire per ore, seguendo il ritmo del suo respiro e i contorni di quel corpo affacciatosi improvvisamente alla vita, immaginando il suo destino, indovinandolo fra le dolci pieghe del suo profumo e poi accarezzarlo, per un tempo che non avrebbe avuto fine, con le sue mani nodose e protettive, sentendosi madre. Non la spaventavano i dolori del parto e i nove mesi di passione che fanno di una donna un patrimonio inestimabile.

Alle prime doglie avrebbe spalancato le gambe, squarciando in un grido di sangue la sua carne nervosa e stanca d’attesa. Nella sala parto, attorniati dai medici, madre e figlio si sarebbero sciolti in un pianto liberatorio. Veronica l’onda di un mare in tempesta e lui, suo figlio, la spiaggia contro la quale infrangersi per poi tornare; imbattibili, legati indissolubilmente da un vincolo sacro, a prendere la vita a morsi.

“Sono in trappola”, disse.

Camminava nervosa per tutta la casa, sbattendo i tacchi sui mattoni duri. Mise sul fuoco il caffè, si sedette, accavallò le lunghe gambe da cervo e si accese una sigaretta. Dalla finestra della sua casa il sole entrava pieno e caldo, illuminando le pareti bianche e spoglie; gli occhi di Veronica, due mosche impazzite che non sapevano dove guardare, sbattevano a destra e a sinistra. Inquieta, si muoveva a scatti.

Si alzava dalla sedia, toglieva via due granelli di polvere dal tavolo, si risedeva, seguendo un ritmo inesistente in musica, che confondeva. “Sapessi come ci si sente”, diceva, ma ad ascoltarla non c’era nessuno, solo il vuoto della casa che le restituiva quelle stesse parole carambolandole con un’eco sorda e insopportabile sulle crepe delle pareti.

Prese il telefono, aveva bisogno di una voce amica. Due squilli e dall’altro capo rispose una voce ancora assonnata.

“Pronto?”.
“Non ce la faccio più”, disse Veronica.
“Che vuoi da me?”.
“Lascia tutto, portami via!”, urlò, quasi disperata.
“Ma non posso, come faccio?”. La voce dell’uomo al telefono era intimidita. “E a mia moglie, a mio figlio, chi ci pensa?”.
“Sei uno stronzo, questa è la verità, mi usi per i tuoi giochetti e poi mi lasci e mi riprendi quando ti pare. Non sono il tuo giocattolo”.